La Corte Europea dei Diritti dellUomo condanna le carceri italianeLa Corte europea dei diritti dell’uomo  in data 8 gennaio 2013 ha deciso sui ricorsi presentati avverso lo Stato italiano da alcuni detenuti che lamentavano le condizioni degli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza.

Ha rilevato la violazione delle condizioni detentive già tracciate dalla giurisprudenza della stessa corte che impongono standard minimi di spazio e igiene dando allo Stato una scadenza per adeguarsi e riconoscendo alle vittime della violazione una somma a titolo di risarcimento del danno morale.

Le condizioni di detenzione dei detenuti in due carceri del nord Italia

Alcuni condannati per diverse tipologie di reati si trovano detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza, per scontare la pena della reclusione. Al di là dell’oggettiva difficoltà di vivere in regime di detenzione, le condizioni delle carceri in cui sono reclusi non sono per loro accettabili.

Il sovraffollamento nel carcere di Busto Arsizio dove ci sono tre detenuti per una cella singola

Presso il carcere di Busto Arsizio ognuno dei detenuti occupa una cella di nove metri quadrati e la condivide con altri due detenuti. Pertanto, spetta ad ognuno di loro uno spazio personale di appena tre metri quadrati, nel quale sostare, riporre i propri effetti personali, raccogliersi in intimità con i propri pensieri.

Come se ciò non bastasse, il carcere di Busto Arsizio presenta un’altra difficoltà che mette a dura prova l’esistenza nel penitenziario. Infatti, a causa della penuria di acqua calda gli accessi alle docce sono limitati e i detenuti hanno ancor meno possibilità di curare la propria igiene personale, già messa in discussione dalla convivenza forzata con numerosi sconosciuti.

Nel carcere di Piacenza celle strette e bagni senza acqua calda

I detenuti che si trovano nel carcere di Piacenza non vivono una situazione migliore, a quanto pare. Anche qui le celle consentono uno spazio personale di appena tre metri quadrati, in una cella condivisa con altri tre detenuti. La spiegazione è nel fatto che il carcere accoglie più detenuti di quelli consentiti e questo impone la permanenza di tre carcerati in una cella che dovrebbe accoglierne uno solamente. Se a Busto Arsizio l’acqua calda è limitata, qui è addirittura assente da parecchio tempo, il che impedisce ai detenuti di fare la doccia regolarmente.

Non solo, ma le celle del carcere di Piacenza produrrebbero un ambiente opprimente e malsano, a causa della mancanza di luce. Le sbarre metalliche apposte alle finestre non consentono di fare entrare luce naturale sufficiente.

Le condizioni ideali di detenzione prevedono molte ore fuori dalle celle ed elevati standard di igiene

Le condizioni ideali di detenzione prevedono la possibilità di trascorrere diverse ore al giorno fuori dalle celle per occuparsi di attività di vario genere. I detenuti dovrebbero inoltre avere a disposizione un’ora di esercizio fisico quotidiano all’aria aperta. Dovrebbero essere rispettati elevati standard di igiene, consentendo il facile accesso a strutture adeguate di bagni e preferendo i bagni esterni rispetto a quelli collocati nella cella.

Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Sette ricorrenti depositano altrettanti ricorsi contro la Repubblica italiana presso la Corte EDU. Il 2 novembre 2010 e il 5 gennaio 2011 i ricorsi sono stati comunicati al Governo. La camera ha comunicato di applicare la procedura della sentenza pilota. Sia il Governo che i ricorrenti hanno depositato osservazioni scritte. La camera si è pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.

Le dedotte violazioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

I ricorrenti adiscono la Corte europea per i diritti dell’uomo assumendo la violazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti sostengono che le condizioni detentive nei rispettivi istituti penitenziari costituiscono trattamenti inumani e degradanti.

Le tesi opposte del Governo italiano

Il Governo si oppone a questa tesi e osserva che tutti i ricorrenti sono stati scarcerati o trasferiti in altre celle dopo la presentazione dei loro ricorsi venendo dunque meno la condizione di vittime della violazione. Deduce inoltre il mancato esaurimento delle vie di ricorso interno.

La “sentenza pilota” della Corte

La Corte EDU richiama l’articolo 6 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 sull’ordinamento penitenziario che impone alcune condizioni minime da osservare nella struttura dei locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati, per il rispetto della dignità, della igiene e della incolumità.

I mezzi di denuncia a disposizione dei detenuti che vivono in condizioni non dignitose

I detenuti che non ritengono che tali condizioni siano rispettate possono inoltrare reclami al magistrato di sorveglianza, al direttore dell’istituto penitenziario, agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e pena e al Ministro della Giustizia, alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto, al presidente della Giunta regionale e al Capo dello Stato.

Il Magistrato di sorveglianza ha il potere di impartire disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni e i detenuti possono chiedere allo Stato un risarcimento in caso di cattive condizioni di detenzione.

Le risposte procedurali della Corte alle argomentazioni dei ricorrenti e del Governo

Secondo i rapporti generali del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti le carceri italiane subiscono un sovraffollamento della metà dei detenuti consentiti e i termini per l’adozione di misure contenitive del disagio è già stato prorogato più volte.

Sulla dedotta cessazione della qualità di vittima, la Corte osserva che il trasferimento non implica riconoscimento da parte dello Stato della dedotta violazione e dunque tutti i ricorrenti possono ancora sostenere di essere vittime di una violazione dei loro diritti sanciti dall’articolo 3 della Convenzione.

Sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte ritiene che non sia stato dimostrato che la via di ricorso indicata dal Governo possa impedire il protrarsi della violazione e assicurare ai ricorrenti un miglioramento delle loro condizioni di detenzione.

La motivazione del provvedimento nel merito e i riferimenti al costante indirizzo della Corte

Nel merito, la Corte si riferisce a precedenti giurisprudenziali che richiedono che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che non lo pongano in uno stato di sconforto o di sofferenza e che la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente. Rammenta altresì che la violazione dell’art. 3 è stata ravvisata quando la mancanza di spazio era accompagnata da mancanza di ventilazione e di luce, da un accesso limitato alla passeggiata all’aria aperta o da una mancanza totale d’intimità nelle celle.

Rileva la Corte che il Governo non ha fornito alcun documento riguardante le dimensioni reali delle celle e che invece le versioni dei ricorrenti sono unanimi quanto alle dimensioni delle loro celle. Ciò dimostra la mancanza di uno spazio vitale conforme ai criteri ritenuti accettabili dalla giurisprudenza, aggravata dalla scarsità di luce e di acqua calda.

La violazione dell’art. 3 della Convenzione dà diritto al risarcimento del danno morale

Ravvisata la violazione dell’art. 3 della Convenzione, la Corte dichiara che lo Stato italiano dovrà offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e ciò conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte. Inoltre, dichiara lo Stato italiano tenuto a versare ai ricorrenti somme a titolo di danno morale liquidate in via equitativa.

L’applicazione della sentenza agli stessi casi pendenti e futuri

La sentenza in esame è una delle poche in cui la Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani, in questo caso per aver costretto i detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza a vivere in condizioni degradanti a causa del sovraffollamento degli istituti.

La decisione è stata qualificata “sentenza pilota” poiché verrà applicata in futuro a tutti gli altri reclami, pendenti e futuri, che riguardano le stesse questioni di sovraffollamento delle carceri italiane.

Gli altri casi di sovraffollamento denunciati

Nel 2011 un detenuto propone reclamo al magistrato di sorveglianza di Lecce lamentando le condizioni detentive inumane dovute all’elevato sovraffollamento del carcere per dover condividere una cella piccola, mal riscaldata e priva di acqua calda, nella quale era obbligato a trascorrere diciannove ore e mezza al giorno a letto per la mancanza di uno spazio destinato alle attività sociali all’esterno della cella.

Tags: Dir. Penale

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